martedì 4 settembre 2007

compagni di scuola

Anche io ieri sono tornata a scuola. Eh sì. Perché trasferirsi comporta imparare o migliorare la lingua che si deve parlare nella nuova città, nel nuovo Paese. E nonostante quanto molti pensino, in Israele non si parla inglese, ma ivrit (ebraico moderno) e non si paga in dollari, bensì in shekel.
Il governo paga ai nuovi immigrati cinque mesi di studio presso scuole comunali o statali apposite. Si tratta di corsi piuttosto tosti: quattro ore di lezione al giorno per cinque giorni alla settimana. Io ho scelto la mia scuola perché avevo simpatico il nome e mi diceva molto del mio nuovo Paese. La scuola si chiama Bet ha'Am che sarebbe a dire Casa del popolo. C'è pure una biblioteca in puro stile emiliano.
Ieri mi sono dunque rimboccata le maniche e ho affrontato il test per inserirmi nella classe più adatta al mio livello: kittà bet plus, da ottobre kittà ghimel. Non male: significa che ho la proprietà di linguaggio di un bambino tra i 7 e gli 8 anni! Comunque sufficiente per riuscire a sopravvivere, se quell'età mia mamma mi mandava a comprare il pane dal panettiere. E se ancora non sono morta avvelenata.
La mia classe è piuttosto numerosa. Ed è anche molto mista. Nuovi immigrati di tutte le provenienze: Francia, America del Sud, America del Nord. Ebrei e cristiani di tutte le denominazioni che riuscite ad immaginare, che sono in Israele per più o meno lunghi periodi di studio. Ci sono anche molti arabi israeliani. Devo dire che fa un certo effetto questo mix. Soprattutto quando ti metti a chiaccherare fuori dalla lezione e l'ebraico si confonde con il francese, l'inglese, l'arabo e alla fine non capisci neppure più in che lingua stai parlando.
Oggi ho fatto un po' conoscenza con un mio compagno di scuola arabo, di Gerusalemme. Ha la faccia simpatica e attacca discorso sorridente: mi chiede perché sono venuta in Israele. Un po' perché sono sovrappensiero, un po' perché mi sembra il caso di iniziare la conversazione con il piede giusto, lascio perdere la piccola questione del sionismo e gli spiego che cosa faccio qui: mio marito studia per diventare rabbino, io facevo l'nsegnante di italiano a stranieri e adesso studio all'ulpan e cerco lavoro. E lui: ma sei ebrea? - Certo. - E non parli già ebraico? Gli spiego che conosco l'ebraico quel tanto che basa per capire quel che dico quando prego e per cavarmela in situazioni comuni. E lui rincalza: Ma voi non parlate ebraico, vero? Cerco di spiegare che in Italia gli ebrei parlano italiano, perché sono ebrei italiani. Mentre comincio a rispondere, mi rendo conto della piega che sta prendendo la conversazione: tutto è solo la riprova che l'identità ebraica è inautetica, falsa e soprattutto non ha nulla a che vedere con Israele. Gli ebrei sono solo una grande invenzione, non un popolo, come del resto il loro Stato.
Ma che cosa ci sei venuta a fare proprio qui? Spiego di nuovo brevemente e tronco il discorso.
Il mio compagno di scuola si gira verso l'altro compagno di banco: un distinto signore tra i sessanta e i settanta, vedovo, ebreo tedesco. E tu cosa ci fai qui? Sono in pensione e sono venuto a studiare ebraico. E quello: ma perché proprio qui, perché proprio ebraico? Perché non cinese?
Questa domanda l'ha rivolta un giovane ragazzo arabo israeliano ad un distinto signore tra i sessanta e i settanta, vedovo, ebreo tedesco. Il quale, come me, è rimasto senza parole.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

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C'è pure una biblioteca in puro stile emiliano.
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Coi tortellini dentro? :P

Uriel

Sara ha detto...

Ovviamente: qui il socialismo si prende molto sul serio! ;-)
Sara

Enzo ha detto...

Quanto tempo e' passato dal tuo ultimo post!
Spero che tutto vada bene e che il tuo ivrit sia migliorato...
Tanti sinceri auguri