giovedì 16 luglio 2009

Chiamata in giudizio

Giovedì mattina sono passata da Me'a Shearim. Volevamo cercare un lettino da campeggio per Dov. Poco dopo l'ospedale Bikkur Cholim, un poliziotto devia il traffico. Gli chiediamo se è il caso di entrare nella zona a piedi. Ci dice che a piedi si può. Poco oltre, verso Kikkar Shabbat, cominciano già i cassonetti incendiati. Facciamo appena in tempo ad entrare in un paio di negozi, che frotte di uomini risalgono Rehov Strauss. Capiamo che è il caso di levare il disturbo e con una certa premura cerchiamo una via alternativa per allontanarci. Segue un pomeriggio e una serata di scontri tra charedim e polizia.
Per chi non sapesse la causa, ve lo dico in due parole. Una donna di una delle varie sette (Toldos Aharon) è stata arrestata. La donna pare putroppo malata di mente ed ha probabilmente una sindrome che si chiama di Munchausen by proxy. Il risultato è che ha portato in fin di vita il suo figlio più piccolo, affamandolo: a 3 anni il piccolo pesa 7 chili. Dopo varie indagini e un via vai dagli ospedali, attraverso le telecamere a circuito chiuso si è visto che la donna addirittura staccava il tubo dell'alimentazione al bimbo. Evidentemente una donna che ha bisogno di molto aiuto. La donna, che per altro è di nuovo in stato interessante, è stata tenuta in prigione, anche perché da subito la famiglia non ha accettato la perizia psichiatrica. Questo fatto ha scatenato il putiferio di cui sopra, corredato da una serie di menzogne tra cui il fatto che l'ospedale stesse facendo esperimenti sul bambino o che no forse gli avesse fatto la chemioterapia perché pensavano avesse un tumore, o che no la donna avesse provato a dire qualcosa ad un medico e allora era stata arrestata per coprire le malefatte dell'ospedale. Sempre pensato, io che certa gente vive in una realtà parallela. Da venerdì, la donna è ai domiciliari, avendo acconsentito alla visita psichiatrica. Piccolo particolare: stamani la signora non si è presentata al colloquio con lo psichiatra senza alcuna giustificazione. Ulteriore dettaglio: la cauzione di 400.000 shekel (circa 80.000 euro) è stata pagata dal Ministro della sanità.
Tutta la vicenda mi ha dato molto da pensare e anche l' occasione di parlare con una conoscente ritrovata che adesso è charedi e vive in quel mondo. L'occasione è stata anche a suo modo molto strana. Ci siamo parlate da punti diametralmente opposti, mentre i charedim e la polizia se le stavano dando e lei sentiva il puzzo degli incendi da due strade più in là, mentre io sentivo le autoambilanze correre sulla strada che porta a Hadassah Ein Kerem.
Detto tutto ciò e aspettando che la giustizia e la psichiatria ci dicano qualcosa di più, sono rimasta molto perplessa di fronte agli argomenti che sono stati sollevati, anche da chi tra i charedim, dice, vuole che giustizia sia fatta.
Tutta la vicenda, è inotile negarlo, si inserisce infatti in una questione molto più grande che vede avanzare il confronto tra charedim e il resto di Israele e che coinvolge diversi fronti: dal ruolo del rabbinato centrale, ai piani per la sosta di shabbat al matrimonio civile. Insomma, stasera parlo per me e la dico tutta.
Ebbene, credo che i charedim in questo contesto abbiano semplicemente strumentalizzato la situazione fregandosene del bene della donna in questione e soprattutto del bambino, per andare contro allo Stato e anche al Comune di Gerusalemme (si vedano le recenti polemiche sul parcheggio sabbatico).
Credo che le persone che hanno manifestato e i rabbini che non hanno esplicitamente condannato le manifestazioni abbiano superato una volta di più il confine della legalità. Chi dice che i poveri charedim non hanno altro modo di farsi ascoltare che distruggere i servizi pubblici, avvelenare l'aria e picchiare la gente e la polizia credo che abbia un senso della realtà un po' distorta. Perché se un arabo, che (purtroppo in alcuni casi) ha sicuramente meno voce in capitolo dei charedim avesse fatto la metà delle cose che loro hanno fatto, sarebbe stato arrestato e staremmo qui a discutere della liceità del tirargli giù la casa. E di sicuro non troverebbe un ministro disposto a pagargli la cauzione corrispondente a svariate decine di migliaia di euro.
Penso che i charedim vivano in un sistema fortemente repressivo. I problemi di mente sono ovviamente presenti in tutta la popolazione e sono in ogni contesto difficili da affrontare. Ma un contesto che sistematicamente riduce le donne a facitrici di figli e per il resto le prive di occasioni per esprimere esigenze che vengano da se stesse e per se stesse, non può che incrementare le possibilità che una di esse si ritrovi una psicopatica, con la sindrome di Munchausen o simili. Una sindrome, appunto, che nasce dalla necessità di rendersi visibili, importanti da un lato e dall'altro anche dalla volontà di mostrarsi più furbi del potere costituito, di riuscire ad aggirare chi si ritiene più potente.
Credo inoltre che i charedim godano di ogni possibile libertà in questo Paese e che non siano affatto perseguitati, come si premurano di farci credere. Io, come donna ebrea reform, sono ad esempio più erseguitata di loro. Loro possono andare a giro vestiti come la loro fede gli impone. Io rischio 7 anni di galera se provo ad avvicinarmi al muro con un tallet, come la mia religiosità auspicherebbe.
Credo che sì, sia vergognoso che i charedim ottengano molto, senza dare niente in cambio o in alcuni casi (come per i gruppi tra di loro che sono antisionisti - leggi vanno da Achmadinajad) sputando nel piatto in cui mangiano. Ok, le tasse le paghiamo tutti, anche loro. Ma come la mettiamo ad esempio con la tzavah? Grazie ad una norma che doveva essere transitoria ma non molto tempo fa è stata confermata, i charedim hanno la esenzione dal militare. Citando un ebreo italiano-israeliano il cui figlio è morto servendo come riservista e la cui figlia subito dopo è dovuta partire di leva, vorrei sapere che cosa di così santo hanno tra le gambe le figlie dei charedim che mia figlia non ha.
Infine si dice che dobbiamo amare i nostri fratelli ebrei. Bene, io lo faccio. Rispetto tutti. Non vado in giro in calzoncini corti quando passo dai loro quartieri, non mi permetto di sfottere il loro modo di esprimere la loro religiosità. Ma il rispetto dei charedim per il resto degli ebrei, che - vogliamo ricordarlo - sono la stragrande maggioranza in Israele e nel mondo dove è? Dove sta il rispetto per coloro che vivono la vita tutti i giorni e non si rinchiudono in un ghetto reputandosi troppo elevati per mischiarsi con le cose di tutti i giorni?

E tutto questo, lo so, c'entra ben poco con la tristissima vicenda di quella donna. E soprattutto c'entra ben poco con la ancora più triste vicenda di un bambino ridotto in fin di vita dalla pazzia di sua madre e probabilmente dalla omertà della sua famiglia e della sua comunità.
Lo so, anche la mia visione può essere accusata di essere una strumentalizzazione della situazione, tanto quanto quella fatta dai charedim. Preferisco però pensare che sia una occasione per riflettere e per esprimere i miei giudizi sulla realtà. Una volta un rabbino ha detto che si sbaglia quando si dice "io non giudico il comportamento di x". Tutti abbiamo pareri e giudizi. Quando non si giudica, vuol dire che non siamo coinvolti. Solo bisognerebbe esprimere tutto ciò nel rispetto dell'uomo o della donna che si ha di fronte. Questo però, io aggiungo, avrebbe bisogno di reciprocità.