martedì 30 dicembre 2008

sono una mamma anche io

Sono una mamma anche io e ciò che vedo e sento in TV e alla radio in questi giorni mi fa male. Mi fa male al cuore vedere bambini negli ospedali di Gaza, feriti, morti. Feriti e morti nonostante gli sforzi israeliani di non fare vittime civili, nonostante gli aiuti che continuiamo a mandare alla popolazione di Gaza.
Sono una mamma anche io e per questo non riesco e non intendo ascoltare chi (ebreo e non) dice che il mio Paese sta sbagliando.
Sono una mamma anche io e per questo non posso togliermi dalla testa le immagini quotidiane degli ultimi anni (non mesi, non settimane, non giorni) di Sderot e dei kibbuztim e cittadine della zona. Immagini delle case distrutte dai kassam sparati da Hamas da Gaza, dei bimbi che fuggono (meno di un minuto dallo scattare dell'allarme per uscire dalle classi e andare nel rifugio della scuola). Immagini di bambini e adulti negli ospedali in preda al tremore per lo shock, feriti, morti.
Quando quei signori che criticano avranno versato lacrime per questi bambini, per questi civili - senza se e senza ma, proprio come fanno per i civili di Gaza - sarò disposta ad ascoltarli.
E quando quegli ebrei che pontificano avranno imparato ad amare i figli del proprio popolo tanto quanto amano gli altri, allora, come mamma, li ascolterò.

martedì 11 novembre 2008

aspettando i risultati

Oggi a Gerusalemme si vota.
Tra le uscite di Olmert
alla commemorazione di Rabin.
Tra le violenze degli ultra-ortodossi.
Tra le intimidazioni degli arabi.
E si spera in una città con un futuro
non in bianco e nero.

Le foto le ho fatte
in occasione
di uno dei tanti giuramenti
di ragazzi e ragazze di leva
che si vedono,
andando al Kotel.

Questo è stato
poco prima delle feste.

giovedì 16 ottobre 2008

tempo di raccolto

Sukkot, tempo di raccolto. Tempo di godersi gli ultimi frutti della bella stagione, di cominciare a gustarsi qualche cavolo e le prime castagne.
Tutto questo mi fa ritornare in mente una discussione avuta questa estate. A dire il vero una serie di discussioni da patana di shabbat pomeriggio, che si ripropongo anche a distanza di settimane ogni volta che le solite persone si ritrovano intorno al tavolo.
La discussione riguadava la kasherut e l'essere vegetariani. Essere vegetariani significa mangiare kasher? Ho scoperto che molte persone a prima vista tendono a dire sì. E sconvolge molti far notare che il formaggio molte volte non è kasher perché usa caglio animale (mescolando così carne e latte) oppure che le uova vanno controllate per vedere se sono fecondate. Il massimo dell'incredulità lo si ottiene quando si arriva ad affermare che anche a mangiare verdura si rischia di non mangiare kasher: lasciando perdere i possibili insetti tra le foglie dell'insalata, restano comunque le normative relative alla agricoltura, come l'anno sabbatico che si è appena concluso in Israele.
Si leva allora classica la questione, ma insomma troppa roba, troppe norme. Andiamo al succo: quale è il significato di fondo del mangiare kasher. Ed è qui che il vegetariano ti frega, tirando in ballo che il senso - in fondo in fondo - sta nell'evitare di esercitare violenza e siccome essendo vegetariani non si esercita violenza, ciò è da preferirsi.
Non ho niente di personale contro i vegetariani, anche se tendenzalmente li trovo alquanto talibani. I miei gusti mi portano a non essere vegetariana, anche se non sono una carnivora incallita. Più di una volta mi sono anche trovata a pensare che grazie al cielo esistono i macellai, perché se dipenesse da me non avrei mai cuore di ammazzare una bestia per piccola che sia.
Poi però, un giorno, ho sentito una sega elettrica all'opera e mi sono affacciata: stavano tagliando una bellissima pianta di gelsomino, completamente in fiore. Ho chiesto alla vicina del piano terra. Mi ha risposto: "Mi dava noia". Me ne sono andata via disgustata.
Lezione che ho imparato sul perché non sono vegetariana.
L'uomo ha in mano la natura e non può che esercitare violenza su di essa, anche con la sua stessa presenza. Talvolta si fa anche prendere a mano. La differenza tra lo strappare una pianta e l'uccidere una mucca non sta nel fatto che la mucca abbia gli occhi o che stia più in alto nella scala del creato. A dire il vero non vedo affatto una differenza, sono due atti di violenza che l'uomo compie contro la natura - certo per cibarsi, per sopravvivere - ma tali entrambi restano.
Il vegetarianesimo vorrebbe come fine ultimo eliminare la violenza da questo mondo, non riesco a vedere come ci possa riuscire. L'ebraismo invece ci insegna che essa scomparirà
bayom hahu nell'era messianica, non baolam haze. Adesso ci dobbiamo convivere. E per fare ciò bisogna in primo luogo accettarla come perte del nostro essere umani, regolarla perché non ci porti ad eccessi. In questo vedo il senso profondo della kasherut.
Non basta salire sul pistillo di un fiore per salvare il mondo. Nè tantomeno ridursi a brucare come capre.

giovedì 2 ottobre 2008

marcovaldo ovvero le stagioni in città

Per Rosh Hashanah quest'anno siamo stati a Milano. Non mi chiedete il perché e guardatevi piuttosto i blog di mio marito. Strane sensazioni a ritornare in una città dove ho abitato e lavorato per un po'. Ma non è questo il punto.

All'arrivo a Milano ci hanno sommerso i manifesti di una nuova campagna di informazione del Comune sul verde pubblico in città, che ci ha - appunto - informato che a Milano ci sono 180.000 alberi. Censimento singolare e non troppo difficile, visti i numeri - mi viene da dire. Ma le battute in macchina si sono sprecate - ma hanno contato anche quei due stecchi lì o hanno avuto pietà?
Comunque, una domanda mi è venuta alla mente fin dal primo cartello: ma quanti abitanti fa Milano?
Passata la festa ho controllato su internet: secondo l'ISTAT nel 2008 il Comune di Milano conta 1.298.972 abitanti. Se si includono anche i comuni della zona nord-est (tipo Sesto San Giovanni, Cologno Monzese e Cinisello Balsamo) si arriva a 3.076.643. Se si considera poi l'intera area metropolitana, si toccano i 3.707.000 abitanti.
Insomma siamo buoni e leviamo casalinghe, pensionati e bambini, più qualche negoziante dell'hinterland, restano comunque circa 3.000.000 di persone che quotidianamente trascorrono buona parte della propria giornata a Milano usufruendo dei famosi 180.000 alberi.
Il conto è presto fatto: 1 albero ogni 16 persone circa.
Il che significa, in buona sostanza, che se tutti volessero sedersi all'obra nello stesso momento per riposarsi un po', non ci sarebbe spazio, a meno che non si trattasse di baobab.
Il che significa anche che se la metà che-può-fare-pipì-in-piedi di quei famosi 3.000.000 di persone volesse farla tutti insieme appassionatamente, si ritroverebbe con un albero ogni 8 persone. Cioè se la farebbero addosso.
Non so, forse è per questo che a Milano sono tutti sempre arrabbiati e la città puzza anche un po'.

domenica 21 settembre 2008

le solite nenie

Credo che prima o poi aprirò una rubrica di recensioni di sinagoghe in cui sono stata. La cosa mi sta veramente prendendo la mano e comincia davvero a preoccuparmi!
In vena di turismo sinagogale, dunque, siamo stati a quello che sembra essere un must degli ultimi anni a Gerusalemme: il minyan Shira Chadasha.
Per chi non lo sapesse, Shira Chadasha non è una sinagoga propriamente detta, ma solo un minyan, una chavurah, un gruppo, seppure bisogna dire ben nutrito, che si ritrova per shabbat e le feste in Gerusalemme, zona Katamon. Nonostante tutto ciò
che mi è stato detto per farmici andare, NON è un minyan egalitario e NON è un servizio divertente. E' un servizio cantato per buona parte, qusto sì - anche se abbondano nenie di varia natura e genere, dai nigunim chassidici a quelli di Carlebach.
E' un servizio ortodosso. Punto. Con tanto di separazione uomini donne e mechiztà. L'unica differenza è che le parti "aggiuntive" dei servizi sono iniziate a
cantare da una donna. Sarebbe sbagliato dire guidate, perché dopo la prima nota tutti cantano. Vale a dire nessuna donna farà mai un assolo da cantore, dirà mai un kaddish, guiderà l'amidà o lo shemà. Insomma, una volta ancora, le donne sono presenti, cantano, ma è come se non ci fossero, come se fossero dei manichini, degli accessori, degli ornamenti, proprio come le parti che benevolmente è loro concesso di "guidare". Al danno, si aggiunge la beffa, mi viene da dire.
D'altronde bisogna anche dire che anche tutto questo lasciar dire o pensare che non si tratti di un mimyan ortodosso ha anche in suo tornaconto - di successo intendo, non mi permetto di dire nulla sul piano economico. Shira Chadasha ha infatti il grande vantaggio di non essere una sinagoga stabile, di presentarsi come un gruppo. Se così non fosse, si porrebbe il problema di cosa fare se una ragazzina volesse diventare Bat Mitzva leggendo dal Sefer Tora. A quel punto la risposta sarebbe ovviamente no e allora come farebbero ad attirare tutti quei turisti e studenti reform americani che sono convinti di essere in un minyan egalitario?
Mi ha francamente molto deluso sentire studentesse rabbine dire che si trovano a loro agio lì e poi criticare perché alle volte vado al Tempio italiano o al minyan spagnolo-portoghese, perché mi piacciono le melodie.
Voto: 1
magen david (solo per le musiche di Carlebach)

giovedì 28 agosto 2008

lingua madre

Lo so sono oltre ogni tempo massimo per commentare qualsiasi cosa sull'ultima Fiera del Libro di Torino. Mi scuserete, ma non ero in Italia. Ero a festeggiare Israele da un'altra parte e ho visto il programma solo adesso che me ne sto in vacanza a casa dei miei.

Come cittadini d'Italia e di Israele siamo fieri di ciò che il nostro Paese natale ha fatto, dell'omaggio che ha voluto tributare allo Stato Ebraico nel sessantesimo anno dalla sua fondazione.
Però magari la prossima volta facciano rivedere le scritte in ebraico a qualcuno. Come si vede dalla foto, sul mappamondo, che è anche il logo riportato sui programmi, è scritto in tutte le lingue "lingua madre".
Solo che in ebraico c'è scritto:
אם שפות, Em Safot che vuol dire madre delle lingue e non lingua madre, Sfat Em: שפת אם

lunedì 25 agosto 2008

Campeggi estivi

"Questa è Viareggio" - dice una famosa canzone del carnevale. Dopo più di un anno sono tornata nella mia città natale per farmi un po' di vacanza. E così la mia città natale mi ha accolta: con una email del "Forum giovani Versilia" riguardante un campeggio. Il campeggio internazionale per la palestina. Ah sì - mi dico - c’era già stato lo scorso anno... Chissene. Poi leggo dove lo fanno: Campeggio gratuito dal 1 al 25 agosto 2008 presso la scuola elementare Lenci (Varignano).

No scusa, in una suola pubblica un campeggio politico?

L’animale insegnante che è in me si risveglia, prima ancora del mio essere israeliana, alla quale iniziative del genere puzzano molto, soprattutto quando non hanno nemmeno la patina della bilateralità. Seguo il link, c’è anche un video promozionale su youtube (se lo cercate c'è sempre, io non lo linko!). Lo seguo, prima ancora di leggere bene il programma.

Campeggio organizzato dall’Unione Democratica Araba Palestinese in collaborazione con il (famosissimo) Comitato a sostegno della resistenza del popolo palestinese Versilia. Bon.

Prima immagine del video: cartina di Israele e Territori plestinesi. Tutta verde. Alla faccia della Unione Democratica. Il video va avanti mentre il sangue mi sale alla testa.

"Con grande dignità (foto di bimbo che fronteggia un carro armato) resiste all’occupazione mlitare del governo sionista israeliano da ben sessant’anni". Blablabla "Da 60 anni vengono distrutti campi coltivati, sradicati gli ulivi. Distrutte case scuole e ospedali." Blablabla

Poi arriva il meglio: "I bambini palestinesi quando non torturati o uccisi vengono arrestati dagli israeliani dall’età di 12 anni e nelle carceri trattati come qualsiasi altro adulto in condizioni disumane." Il che vuol dire che non ci sono più bambini palstinesi in giro. Questo significa in lingua italiana quella frase. Col che si aprirebbe quella piccola domanda sulla provenienza delle foto di bambini che si vedono nel video, ma insomma... sono sottigliezze.

"Per dare ad alcuni giovani provenienti direttamente dai territori palestinesi occupati di vivere senza filo spinato senza bombe di respirare aria di libertà. Per stare dalla parte degli oppress e non degli oppressori".

Sigla di chiusura. Bel programma per una seratina d'estate.

Il problema sono ovviamente i contenuti, la disniformazione eccetera eccetera eccetera. Ma soprattutto la domanda che mi viene è: chi ha dato l’autorizzazione affinché una iniziativa del genere, palesemente portatrice di informazioni scorrette, di un messaggio di odio, contro il processo di pace, ecc.ecc.ecc. abbia luogo nei locali di una scuola? Evidentemente la dirigente delle scuole statali Lenci. La quale evidetemente non si è fatta problemi a dare in concessione (il che significa gratuitamente) la neo risistemata palestra della scuola non ancora inaugurata. Nonché i servizi, le cucine e così via.

La seconda domanda sorge ugualmente spontanea: chi ha pagato la doccia delle centinaia e centinaia di persone che secondo gli organizzatori hanno partecipato alla festa? Chi ha pagato loro la cena, visto che la cittadinanza pagava prezzi popolari mentre i campeggiatori niente? Ne deduco che il tutto sia finito sul conto della scuola, dei contribuenti direi. Vabbè, o non sono più contribuente in italia, ma mi girano ugualmente i cosiddetti.

La terza domanda è un po' più complessa: ma chi c'era davvero a questo campeggio? Gli organizzatori pubblicizzano la presenza di famiglie palestinesi. Da voci degne di fiducia si dice c'erano un paio di gruppi musicali, i quali non si capisce attraverso qauli difficile e complesse trattative diplmatiche o tunnel nascosti sotto il Mar Mediterraneo siano riusciti a giungere in italia, visto che i Territori palestinesi sono una prigione circondata dal muro dell’apartheid dalla quale è impossibile uscire. A parte questi gruppi, i palestinesi presenti so che provenivano da Oslo. Ora ad Oslo non mi risultano esserci campi profughi nè carri armati israeliani. Ma di questi tempi non si sa mai. Quanto poi alla presenza di famiglie con bambini, la popolazione locale pare pensarla diveramente da quanto dichiarato dagli organizzatori. Si dice che una delle prime sere alcui vicini nel cuore della notte si siano lamentati (al grido di "dove sono i bamboretti?") per il bordello proveniente dalla scuola ad opera di italici baldi giovani, .

Detto tutto ciò, mi chiedo ma che diavolo ci sono tornata a fare in Italia. E mi confermo nelle mie decisioni.

martedì 19 agosto 2008

Tikva Ahava z.l.

Tikva Ahava era la bimba di una mia cara amica, Gal. La gravidanza mi ha portato a legare molto con Gal, mia “sorella di pancia”, pur con qualche mese di differenza: Dov doveva nascere a marzo, Tikva a giugno. Mi è stata vicinissima, anche in alcune brutte settimane. Di quelle che non si augurano a nessuno. E poi con la sua ecografia morfologica, la situazione si è rovesciata, anche se non sono sicura di essere riuscita a darle tutto ciò che ho ricevuto da lei. La sua piccola in formazione che se ne sta serenamente sguazzando nel pancione ha una brutta malformazione al diaframma. Da Gerusalemme Gal, Dave e Dahlia, la figlia più grande, tornano negli Stati Uniti a San Francisco, nel centro mondiale per queste malattie. Tikva nasce, viene operata, lotta. Una settimana fa ci ha lasciati.

Non è come le cose dovrebbero andare. I genitori non dovrebbero seppellire i propri figli. I figli dovrebbero poter crescere, sereni, sani. Da dove può venire la forza per vivere una vita che è l’esatto contrario?

Da oggi nella birkhat hamazon dirò sotto voce e non a voce alta:
נער הייתי וגם זקנתי ולו ריתי צדיק נעזב

"Sono stato giovane e sono diventato vecchio e non ho mai visto un giusto abbandonato".

Da stasera dopo lo Shema’ canterò piano piano anche il salmo 121. Lo canterò al mio piccolo. Che possa sempre sapere che le braccia dei suoi genitori sono sempre pronte ad aiutarlo e sollevarlo, ma a volte servono braccia ben più salde delle nostre. E in quei momenti (che siano rari…) sappia sentirle. E riconoscere che anche quelle sono braccia di babbo-e-mamma, ma più forti. E che in quelle più grandi c’è un amore più grande, ma anche tutto il nostro amore.



martedì 29 luglio 2008

Essere donna להיות אישה

Non ho grandi passioni per l’esotismo, in particolare rivolto verso i miei vicini di casa di Mea Shearim. Sarà che il loro modo di vivere l’ebraismo è molto diverso dal mio, sarà perché non mi piace come vedono e come si comportano nei confronti del nostro Paese. Insomma io a casa mia, loro a casa loro. Massimo rispetto, massima privacy.
Molte tra le persone che conosco sono invece profondamente fascinate dal mondo chassidico, dall’ebraismo "originario" (?). Non so. Fatto sta che se provo a dirgli che anche la mia tradizione riformata ha più o meno quei due-tre secoli, esattamente come il chassidismo, non mi credono. Saremo troppo prosaici per gli animi puri, forse. Una ebbe a dire che venire in una sinagoga reform era come mangiare un biscotto senza sentirne il profumo.

Ad ogni modo, nonostante la mia avversione a volte la curiosità è la curosità. In un anno di vita gerosolimitana non avevamo ancora messo piede in una sinagoga chassidica. Insomma, per farla breve, con un paio di amici, ci siamo dati al “synagogue shopping” e siamo andati per Kabbalat Shabbat in una sinagoga di Mea Shearim, quella dei Breslover. Ci avevano detto che i Breslover sono molto aperti, quasi simpatici. Bah. Probabilmente stavano parlando di qualcun altro. O erano distratti. Non so. I ragazzi al piano di sotto pare che si siano abbastanza divertiti, anche se c’era un caos indiavolato e seguire il filo della tefillà era quasi impossibile. Per noi al piano di sopra è andata peggio.

Trovata con una certa fatica la porta dell’esrat nashim, della sezione riservata alle donne. Ci siamo inerpicate per una ripida e stretta scaletta, ingorgata di passeggini, bambine infiocchettate e donne di tutte le età affaccendate a rincorrerle. Arrivate finalmente alla nostra stanza non volevamo crederci. La stanza è una stanza chiusa, quasi senza finestre, piena di panche orientate regolarmente verso il cuore di Gerusalemme, cioè verso un muro bianco con una finestrella mezza rotta. Una parete della stanza è composto dalla metà in su da una grata fittissima, da cui non si vede assolutamente nulla a meno di non incollare un occhio alle fessurine dell’intreccio. Cosa alquanto difficile, anche perché le panche sono disposte perpendicolarmente alla grata e quindi solo le poche donne che sono accanto alla grata riescono a vedere qualcosa. E a dire il vero pare anche che non interessi neppure tanto. Tanto le scale sono affollate, tanto la stanza è silenziosa; non si sente neanche il consueto rumore di fondo della tefillà detta a mezza bocca. Tutte stanno pregando. In completo silenzio. Solo il rumore dei ventilatori. Ventilatori che fra l’altro, stando esattamente sopra la grata, impediscono di sentire qualsiasi suono che provenga da una decina di metri più sotto dalla sala degli uomini. Ad un cero punto dal piano di sotto si leva un turbinio di voci, qualche bambina corre verso la grata. Dopo poco tutte ci giriamo verso occidente. Era il Lekhà dodì. Buono a sapersi. Ad ogni modo, a quel punto avevamo già deciso di andarcene. Volevamo chiedere a qualcuno di dire ai nostri mariti di uscire, ma niente da fare. Ovviamente agli adulti non potevamo parlare perché non si rivolgono alle donne, i ragazzetti invece erano tutti presi a giocare che non ci davano certo retta a noi che tra l’altro eravamo di fuori. Insomma abbiamo passato l’ora successiva a camminare tra le stradine di Mea Shearim. Ve ze’hu. Shabbat shalom.

Mi hanno detto tante volte che noi donne non possiamo partecipare al culto per tante ragioni. Perché non dobbiamo imitare quello che fanno gli uomini. Perché abbiamo già tante miztvot specificamente femminili. Perché siamo già più elevate degli uomini e quindi non abbiamo bisogno di pregare (ed è per questo che stiamo in alto, nel matroneo). Mi avevano detto anche che la voce di una donna non si deve sentire in preghiera, perché è come una nudità e potrebbe portare gli uomini che devono pregare verso cattivi pensieri. Non mi è stato mai detto che l’intero essere donna sia così sbagliato che dobbiamo essere completamente ignorate. Non mi sono mai sentita così inutile. Posso anche cercare di capire la bacata logica che dalla halakhà porta ad un ampliamento tale della miztvà. Non posso comprendere, né giustificarlo.

Insomma io a casa mia, loro a casa loro. Massimo rispetto, massima privacy. Anche del mio modo di cucinare i biscotti, però.

lunedì 21 luglio 2008

Ma allora è a questo che servono!

Sembra che tutte le mie amiche in Italia e non, quest'anno si siano messe a figliare. Neanche ci fossimo messe d'accordo. Le esperienze che vengono dalle sale parto sono le più disparate. Ancora più disparate sono le notizie che arrivano una volta tornate a casa. Pannolini. Notti in bianco. E le poppate.
Se non ho capito male, in Italia si tratta anche di un problema "politico", dopo la manifestazione delle mamme in piazza con poppata collettiva di un mese fa. Ma da qui tutto sembra molto lontano. Nessuno si sognerebbe mai di dire che stai facendo un atto osceno in luogo pubblico se allatti tuo figlio al ristorante o in un parco.
Al di là della questione pubblica, però è l'aspetto personale che mi ha lasciata perplessa. Dalla testimonianze di vita vissuta pare che questa attività propria di tutti i mammiferi si stia atrofizzando nella specie umana. Perché il bimbo non si attacca. Perché le è andato via il latte. Perché ha avuto il cesareo... La cosa mi ha talmente impressionata che mi sono pure messa a guardare, tra una poppata e l'altra, i forum di allattamento. E, incredibile a dirsi, ecco le stesse situazioni e a quanto pare soprattutto gli stessi consigli dei pediatri.
Caso I - "Pesi il bimbo prima, poi lo tenga attaccato solo cinque minuti per seno. Tanto poi non tirano più latte, ciucciano solo perché gli piace. Poi lo ripesi e quel che manca alla quantità X che ho detto glielo dia di artificiale."
Caso II - "La bambina piange dopo pochi minuti che si è attaccata? Si vede che ha poco latte. Gli dia la giunta di artificiale."
Caso III - "Se ha fatto il cesareo, non può mica avere il latte."
In base alla mia scarsissima esperienza di quasi 5 mesi, di fronte a queste risposte di dottori mi sorgono solo delle nuove domande.
Caso I - Come mai le ostetriche e la letteratura sull'argomento dicono che il minimo di una poppata che sazi per un bel po' un bimbo sono 20 minuti e che anzi bisogna avere un bel po' di pazienza soprattutto all'inizio? E poi anche se il bimbo restasse sul seno per piacere, ci sarebbe qualcosa di male? Dove sta scritto che con l'allattamento diamo solo latte ai nostri cuccioli?
Caso II - Come mai non è venuto in mente a questo signor dottore che forse la bimba ha soltanto un ruttino da fare? Se ci sono arrivata io da sola, perché non dovrebbe arrivarci un laureato in medicina? Inoltre, non lo sa il dottore che meno latte si tira e meno ce n'è?
Caso III - Come mai tutte le donne che ho visto in ospedale io che hanno fatto un cesareo stavano allattando? Perché esisterebbero delle posizioni per allattare in modo più comodo dopo un cesareo, se fosse fisicamente impossibile avere il latte?
Insomma, capisco perfettamente la sfortuna. Ci sta nella vita e ho nel cuore tutte le mamme che per un problema o per un altro non possono allattare. E mi dico, meno male che adesso ci sono anche dei buoni latti artificiali. Ma può starci la sfiga di qualcuna, non la debacle del versante femminile del genere umano!
Che cos'è dunque che non funziona, visto che fino a prova contraria sono millenni che le tette sono prodotte secondo lo stesso modello?
La mia impressione è che a mancare siano soprattutto qualche iniezioni di fiducia in se stesse e di pazienza alla mamma, la certezza di non essere sole e sapere che le cose vanno esattamente come devono andare. Soprattutto, dai racconti che mi arrivano dall'Italia mi pare che manchi un supporto immediato e continuato. Perché -sì- dà tante soddisfazioni allattare, ma può essere anche pesante. Tanto pesante.
La mia esperienza qui all'ospedale Hadassah di Gerusalemme è stata molto diversa. Quando il mio piccolo è nato di poco più di 2 chili alla fine dell'ottavo mese di gravidanza, era palesemente troppo debole per ciucciare direttamente il latte dal seno, ma assolutamente bisognoso di prenderne in abbondanza e in modo costante. Un po' sconsolata per come era andato il parto e davanti a quello scricciolo che davvero avevo paura di rompere, mi sono vista avvicinare da una matronesca infermiera russa. Per prima cosa ha cominciato a far collaborare mio marito (il quale certo voleva farlo, ma come me non sapeva da dove cominciare) e lo ha spedito a prendere in comodato una macchinetta tira latte. Poi a quattr'occhi mi ha spiegato come usarla. Mi ha detto che ce la potevo fare, che la macchinetta poteva aiutarmi ad avere il latte fino a che Dov non fosse stato in grado di prenderlo da solo. Che non mi dovevo preoccupare se all'inizio era poco, che sarebbe venuto di sicuro e che in ogni caso lei era lì. Che la chiamassi.
Ho vivissima l'immagine di quando ho portato i primi cc di colostro all'infermiera. Fiera come avessi fatto le uova d'oro. Ma anche con una grande paura perché vedevo che era poco. Mi ha fatto i complimenti (come fossi stata una brava mucchina...). Con cura ha preso una siringa e lo ha messo nel bakbuk di Dov e me lo ha dato.
Sentire di star facendo una cosa importante, che solo io potevo fare e che proprio per questo meritavo tutto il supporto possibile.
Proprio per questo consiglio due cose.
Per chi si trovasse in situazioni di emergenze provate a contattare la Leche League (c'è in tutto il mondo).
Per chi ancora fosse in tempo per prepararsi, consiglio di leggersi: So that's what they are for! di Janet Tamaro. Un consiglio di una amica americana: spassosissimo e utilissimo.

lunedì 7 luglio 2008

indipendence day

Pensando a tutti gli amici che questo anno mi hanno fatto capire la loro America.
Hope you had a happy July 4th!



IF I HAD A HAMMER (The Hammer Song)
words and music by Lee Hays and Pete Seeger

If I had a hammer
I'd hammer in the morning
I'd hammer in the evening
All over this land
I'd hammer out danger
I'd hammer out a warning
I'd hammer out love between my brothers and my sisters
All over this land

If I had a bell
I'd ring it in the morning
I'd ring it in the evening
All over this land
I'd ring out danger
I'd ring out a warning
I'd ring out love between my brothers and my sisters
All over this land

If I had a song
I'd sing it in the morning
I'd sing it in the evening
All over this land
I'd sing out danger
I'd sing out a warning
I'd sing out love between my brothers and my sisters
All over this land

Well I've got a hammer
And I've got a bell
And I've got a song to sing
All over this land
It's the hammer of justice
It's the bell of freedom
It's the song about love between my brothers and my sisters
All over this land

giovedì 3 luglio 2008

a quattro mesi

Dov ha quattro mesi e una settimana.
A quattro mesi Dov mangia solo il mio latte. E lo vuole solo da me. Se devo uscire e glielo metto nel bakbuk, così glielo può dare il babbo, lui non lo vuole. Fa lo sciopero della fame fino a che non torno.
A quattro mesi Dov adora addormentarsi sul mio seno dopo aver mangiato. In tanti mi dicono che sarebbe meglio non fargli prendere questa abitudine, ma a lui piace tanto. E anche a me.
A quattro mesi Dov ha imparato a ridere a voce alta. Tutte le volte che gli faccio delle facce strane si mette a ridere forte.
A quattro mesi Dov si sente dire almeno mille volte al giorno che la sua mamma gli vuole tanto bene e che sarà sempre con lui.
A più o meno quattro mesi è anche possibile perdere la propria mamma. Portata via da una ruspa con alla guida un terrorista assassino.

http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3563428,00.html

martedì 3 giugno 2008

il settimo giorno

Ieri abbiamo avuto molte ragioni per festeggiare
il giorno della riunificazione di Gerusalemme nel 1967,
al termine della Guerra dei Sei Giorni.

Nel 1948 alla fine della guerra di indipendenza, la città vecchia è parte del Regno di Giordania.
Gli ebrei che vivono nella città vecchia vengo espulsi dai giordani.

Il quartiere ebraico sotto la Giordania viene ridotto in rovine (1948-1967).

L'unica possibilità di vedere l'Har HaBayt (Monte del Tempio) da Israele
è dal tetto della tomba di David, fuori dalle mura.

Tra Israele e Giordania passa il confine, la cosiddetta green line.

Sul confine si estende una vasta no man's land sia dal lato giordano...

...sia dal lato israeliano.

domenica 25 maggio 2008

lag ba-omer

Venerdì scorso abbiamo festeggiato Lag ba-omer.
Siamo a mezza strada tra Pesach e Shavuot, nel mezzo del deserto.
Già fuori dall'Egitto, dalla cecità della schiavitù,
ma ancora non sappiamo dove ci porteranno tutte le possibilità che abbiamo di fronte a noi.
Un pensiero speciale a Gal, David, Dahlia e Tikva (ti aspettiamo).


אין לי ארץ אחרת


,אין לי ארץ אחרת
.גם אם אדמתי בוערת
רק מילה בעברית חודרת
.אל עורקיי, אל נשמתי
,בגוף כואב
בלב רעב
.כאן הוא ביתי
לא אשתוק
,כי ארצי שינתה את פניה
,לא אוותר לה
אזכיר לה
ואשיר כאן באוזניה
.עד שתפקח את עיניה

מלים: אהוד מנור
לחן: קורין אלאל


Tra pochi giorni Yom Yerushalaim

giovedì 22 maggio 2008

che cosa ho imparato questo anno

Un saluto speciale a tutti i nostri amici con i quali abbiamo condiviso dei mesi speciali e che adesso stanno tornando a casa negli Stati Uniti.
Un bacione a tutti voi che partite.
E per noi che restiamo un ricordo di uno shabbat a casa di Gingy.
There are ten, ten constipated men in the Bible, in the Bible.
There are ten, ten constipated men in the Bible, in the B.I.B.L.E.


The first, first constipated men was Adam - he soiled the garden
The second, second constipated men was Cain - he wasn't Able
The third, third constipated men was Noah - he filled the ark
The fourth, fourth constipated men was Pharaoh - he wouldn't let it go
The fifth, fifth constipated men was Moses - he took two tablets
The sixth, sixth constipated men was Balaam - he couldn't move his ass
The seventh, seventh constipated men was David - he fought a giant
The eighth, eighth constipated men was Samson - he brought the house down
The ninth, ninth constipated men was Solomon - he sat for forty years
The tenth, tenth constipated men was Joshua - he blew the walls down

giovedì 15 maggio 2008

per rinfrancar il palato tra un post e l'altro

Per alleggerire i toni e per gustarsi le arance che qui si trovano ottime quasi tutto l'anno, vi suggerisco questo pollo all'arancia. Niente a che vedere con la sua cugina (l'anatra all'arancia... ancora non riesco a farmela piacere). Niente a che vedere con cucina ebraica. A dire il vero non so neanche come questa ricetta sia finita ad un certo punto nel ricettario di mia madre, che me l'ha insegnata.

Ingredienti:
- 500 gr. petto di pollo
- 3 arance

- 1 limone
- noci tritate
grossolanamente
e pinoli a piacimento
- qualche cucchiaio di farina

- olio e.v.d'o. sale e pepe

Spremete le arance e il limone.

Tagliate a filetti il petto di pollo.
Mettete il tutto in una bacinella. Unite noci e pinoli, sale e pepe e fate marinare in frigo, coperto, per un paio di ore.
Dopo due ore tirate su i filetti di petto di polli e scolateli dalla marinatura (che non dovete buttare). Infarinateli leggermente e passateli in padella con un po' di olio, fino a che non sono dorati. A questo punto aggiungete la marinatura e lasciate andare fino a che i petti di pollo non sono cotti. La salsina deve restare un po' liquida. Si servono caldi, ma se la salsina è sufficientemente liquida sono ottimi anche riscaldati sulla
plata il sabato a pranzo.

mercoledì 14 maggio 2008

occhio per occhio

Dal numero di messaggi che ho ricevuto da parte di cattolici, credo di dovere qualche spiegazione in più sulla questione dell'aborto, lasciando per un momento da parte le mie convinzioni etiche personali e cercando di spiegare la posizione ebraica sul tema. Fermo restando che, come ho già detto e come rav Disegni ha scritto, le posizioni sono comunque molto variegate e le decisioni prendono sempre in considerazione il caso singolo.
Nei messaggi ricevuti, credo che in realtà vengano al nodo due diverse questioni. Da un lato c'è il preconcetto di sapere che cosa c'è scritto nella Bibbia, in particolare nel "Vecchio Testamento", o meglio (mi si passi il termine) la presunzione di dire agli ebrei e al mondo che cosa ci si dovrebbe leggere. Dall'altra c'è un problema di fondo: come può essere una religione "contro la vita"?
Cercherò di andare per ordine e mi scuso se non risponderò a tutte le domande. Non sono una rabbina. Al massimo sono un'apprendista rebbetziner.

Una cosa che mi pare sfugga ai miei amati lettori è che un testo acquista un valore non in sè, ma per le interpretazioni che se ne danno. La tradizione ebraica mette questo al suo centro e resta vitale proprio grazie a questo. Vi siete mai chiesti perché non ci sono molti ebrei ciechi? Eppure sta scritto "occhio per occhio". La chiave del mistero sta in quella parolina di cui sopra: interpretazione. La legge ebraica (halakhà) da millenni è appunto questo, attraverso la Mishnà, la Ghemarà e il Talmud prima e attraverso i responsa adesso, i rabbini di tutti i tempi hanno interpretato ciò che sta scritto nella Torà, per dare risposte concrete e valide per i problemi dei loro tempi. Questo significa ad esempio che praticamente da sempre il detto "occhio per occhio" è stato interpretato in termini di compensazione per il danno arrecato.
Interpretazioni diverse - evidentemente - la nostra e la vostra. Punti di vista sul testo, direi.
Per quanto riguarda specificamente la questione aborto, il testo principale di riferimento per noi è Esodo 21:22-25. Guarda caso proprio il famoso occhio per occhio.
"Quando degli uomini stiano lottando e uno di essi spinge una donna incinta facendola abortire, ma non provocandole alcun altro danno, il responsabile sarà punito in base a quanto il marito della donna può prendere da lui, secondo una stima. Ma se altri danni ne conseguono la punizione sarà vta per vita."
Da questo brano l'Halakhà deriva che la soppressione di un feto non è da considerarsi alla stregua di un omicidio e non è punibile come tale.
L'altro famoso passo che invece si continua a citarmi è dal libro della Genesi (38:6-11). In esso si racconta di Onan, il quale si rifiuta di seguire la legge del levirato, secondo la quale avrebbe dovuto sposare la moglie vedova di suo fratello, in modo da farle avere figli, che sarebbero stati come figli di suo fratello. Per non fare questo"Onan disperdeva per terra, ogni volta che si univa alla moglie di suo fratello, in modo da non dare una discendenza a suo fratello. Ciò fece dispiacere al Signore, che prese la sua vita".
Ora, da questo passo nella tradizione ebraica si ricavano una serie di divertenti considerazioni, prima di tutto sul levirato... e non vi sto qui ad annoiare. Secondariamente si ricavano interessanti normative relative alla contraccezione e ai figli. La mitzvà (obbligo) di fare figli si fa ricadere solo sull'uomo e non sulla donna. Per questa ragione, mentre l'uomo non può adottare mezzi di contraccezione, la donna può farlo. Da tutto questo però non si ricava nulla sull'aborto, nè sul fatto che lo sperma sia già vita.
Insomma questione di punti di vista.

Il secondo punto in questione è "come una religione possa non difendere la vita". La risposta è molto semplice: la mia religione difende la vita. Quella dei viventi, appunto, secondo la nostra definizione e in primo luogo quella della madre. Questo approccio è del resto lo stesso dell'Islam, per il quale il feto non è vitale fino a 120 giorni dal concepimento ed è in generale possibile sopprimerlo in caso di problemi di salute o psicologici della madre. Famoso fu il caso degli stupri delle donne bosniache. Una fatwa fu promulgata appunto che riconosceva la liceità dell'interruzione di quelle gravidanze. Da notare anche che queste posizioni implicano che un intervento farmacutico tempestivo (pillola del giorno dopo) è da privilegiarsi.
Ma allora? Se le religioni devono dare un esempio morale, cosa succederebbe se tutti decicessero di interrompere la gravidanza?
Barukh haShem, milioni di bambini ebrei popolano ancora questo mondo. E in qualche modo saranno pur nati. E miliardi di bambini musulmani continuano a nascere, Inshallah.

martedì 13 maggio 2008

questione di vita

Ci sono un prete cattilico e un pastore protestante che stanno discutendo. Il prete dice: "La vita comincia al momento del concepimento!". Il pastore protestante gli risponde: "No! Inizia alla nascita!". La discussione, visti i tempi, prende una piega piuttosto accesa e quasi si prendono per i capelli. Alla fine, decidono di dirimere la cosa rivolgendosi, come spesso si fa ai "fratelli maggiori". Se ne vanno dunque da un rabbino. Il prete, tutto concitato gli dice: "Spiega a questo capoccione che abbiamo ragione noi: la vita è tale fin dal concepimento". Il pastore replica: "Ma smettila di dire sciocchezze! Senti rabbino, gli vuoi dire come stanno le cose, che almeno a te ti sta a sentire: la vita inizia con la nascita". Il rabbino placido, li guarda tutti e due diritti negli occhi e risponde: "Proprio non avete capito nulla". Gli altri due tacciono, pendendo dalle sue labbra. "La vita comincia quando i figli trovano un lavoro, si sposano e escono di casa".

Tutto questo per spiegare che, nonostante gli usi e gli abusi che si fanno di citazioni "veterotestamentarie", e nonostante i rabbini italiani, per piaggeria nei confronti dei maggiortari "fratelli minori", tendano a non parlare di queste cose, secondo la normativa tradizionale ebraica non esiste qualcosa come "uccidere un bambino prima che sia nato". Nella pancia esiste il feto, non un bambino, che certo deve essere curato, ma mai a discapito della vita della madre (sia in considerazione delle sue condizioni fisiche che psicologiche).
Se la vogliamo mettere in termini aristotelico-tomistici, tanto cari alla Chiesa, possiamo dire che il nascituro è una vita in potenza e non in atto. Se vogliamo metterla in termini biblici, un po' più terra terra, ma forse più utili, se uno incidentalmente colpisce una donna incinta e questa abortisce in conseguenza dell'urto, il risarcimento dovuto è minore rispetto al caso i cui uno accidentalmente uccida una persona.
Resta soprattutto il fatto che anche i prudentissimi rabbini ortodossi italiani, quando si sono pronunciati, hanno sempre sottolineato che si tratta di decisioni caso per caso, che valutino le effettive condizioni della donna in particolare. Non si può tagliare le cose con l'accetta.

Tutto questo anche per dire che non pubblicherò nessun commento che, gridando dai tetti" all'omicidio, offenda la mia sensibilità religiosa e la sensibilità di molte persone che sono passate attravero scelte, certo non leggere, ma sicuramente pienamente legittime.

Neanche offese alla mia storia familiare saranno ammesse. Perché come i miei antenati, anche io penso che, sì, qualcuno dovrebbe far capire prima o poi al papa che non può pretendere di convertire il mondo.

monarchia-repubblica

Con l'avvicinarsi del 2 giugno, mi chiedo: ma non c'è nessuno che protesti contro il fatto che il sovrano di una monarchia confinante si permetta di criticare le libere leggi sulla Sanità pubblica, votate dal parlamento e confermate da referendum popolare di una sovrana Repubblica parlamentare?
I miei antenati mazziniani si stanno rivoltando nella tomba.

giovedì 8 maggio 2008

בת שישים

Giorno dell'Indipendenza (sarò una sentimentale...)


מדינה עברית, עליה חופשית

martedì 6 maggio 2008

tortino di azzime

Questa ricetta l'ho promessa da ormai troppo tempo alla Luvi (dalla famosa cena di fine Pesach all'ashkenazita). A dire il vero questa è la mia versione del tortino di azzime e spero di non sconvolgere nessuno.

Ingredienti:
- azzime sottili
- 1 kg di piselli
- 1/2 kg di spinaci o 1 kg di zucchine
- 6 carciofi
- brodo o acqua
- ragù abbondante (per i miei gusti è fondamentale che ci si senta il profumo dei chiodi di garofano)
- cipolla e aglio
- sale e pepe
- olio e.v.d'o.

Cuocete tutte le verdure separatamente, rosolando bene gli spinaci e i carciofi con l'aglio e i piselli e le zucchine con la cipolla. Poi unitele. Ungete con olio una teglia con i bordi alti e spolveratela con farina di azzime. Bagnate alcune azzime nel brodo freddo (attenzione che siano ancora solide quando le tirate su, sennò viene 'na schifezza). Formate sul fondo della teglia uno strato di azzime. Coprite con uno strato di verdure e con uno di ragù. Poi di nuovo azzime ammollate, verdure e ragù. Procedete fino a finire gli ingredienti. Conviene bagnare le azzime volta per volta. Cuocete in forno medio per un'oretta.

PS:
cercando immagini adatte a questo post (che non ho trovato) sono capitata su questo sito http://www.ilmangione.it/magazine/articolo.php?id_articolo=227 dove si scrive "Erbe amare, lattuga e pane azzimo: ecco la tipica cena della Pasqua ebraica". Non so il livello di questa rivista gastronomica, ma la cosa suona alquanto ridicola.

giovedì 1 maggio 2008

perché sono qui

In questi giorni ho conosciuto via internet una ragazza italiana di Mantova. Anche lei ha avuto un bimbo da poco, ci scambiamo esperienze, idee, lamentele sulle notti in bianco. Stamani mi ha chiesto perché sono qui. Stasera ho le idee più chiare sulla risposta.
Stasera sono iniziate le commemorazioni per Yom HaShoah. No - non dirò la banale verità che sono qui perché sono sionista e penso che se ci fosse stato uno Stato ebraico, la Shoah non ci sarebbe stata.
Stasera sono iniziate le commemorazioni per Yom HaShoah e sto guardando la televisione. Su Arutz-10 è passato un programma che si chiamava "I bambini della foto" (quella qui sotto). In questo film-testimonianza i bambini, ora adulti, sono alcuni dei pochi sopravvissuti agli esperimenti ad Auschwiz di Mengele. E con questo non voglio neppure dire semplicemente che sono qui perché stasera mi fa male sentir piangere mio figlio, anche se è solo perché ha il pannolino sporco.
Le cose sono un po' più complicate.

Quando ero ancora alla SSIS (scuola di specializzazione per l'insegnamento secondario), ho fatto tirocinio per insegnare Scienze Umane in un istituto professionale e ho avuto come tutti un tutor. Questa signora del tutto priva non solo di conoscenze, ma anche di qualità umane, ebbe l'idea di organizzare delle lezioni in occasione della Giornata della Memoria. Con la scusa che insegnava psicologia, il tutto si ridusse alla presentazione di alcuni fra i tanti profili psichiatrici di Hilter ed altri illustri, tra cui appunto Mengele.
Non so, forse è solo una mia mania personale, ma non riesco a sopportare nessuna di queste "psichiatrizzazioni" della Shoah. Dei pazzi con deliri di onnipotenza hanno preso il comando del mondo ed hanno ucciso milioni di loro simili, di bnei adam, esseri umani. E tra questi milioni erano miei simili. Cosa vuol dire? Come può essere? Voglio qualcosa di storicamente spiegabile per cercare di guardare l'inspiegabile. Dove sono le teorie sulla società di massa? Le origini culturali del Terzo Reich? E' l'unico modo in cui tutto questo mi fa meno male.
Ma non è neppure solo questo, che capisco sia forse solo una mia fissazione, un mio tentativo di razionalizzare. Ci fu un di più, che è la mia risposta alla domanda su che cosa ci faccio qui. La signora concluse la presentazione del profilo psichiatrico di Mengele, sottolineando che come tutti i pazzi aveva la sua lucidità ed era a suo modo geniale. E affermò la cosa più falsa e abominevole che abbia detto in queste sue lezioni: che gli esperimenti e studi sui gemelli di Mengele siano alla base della genetica moderna.
Ho almeno una parte della mia risposta alla domanda perché sono qui ed è una domanda: posso tollerare che questo venga detto in una classe della scuola del mio Paese?
Ho il vomito e non riesco a sopportare che mio figlio pianga stasera.

domenica 27 aprile 2008

huevos (in)haminados

Cominciamo dalla ricetta più semplice, anche se richiede più pazienza. Los heuvos haminados o inhaminados sono un modo di preparare le uova comune a tutto il mondo sefardita e vengono buone in molteplici occasioni - praticamente in ogni caso si debba presentare delle uova sode e lo si voglia fare in modo un po' originale. In ogni caso sono particolarmente adatte per il seder di Pesach, la cui cena dalle mie parti comincia appunto mangiando delle uova sode (non intere, bar minan!) per sostituire le ormai dilaganti uova a barchetta con la maionese.

Ingredienti:
un uovo a testa (o più, a piacere)

un cospicuo numero di bucce di cipolle rosse o fondi di tè e caffè


Si mettono le bucce di cipolla (o i fondi di tè e caffè) insieme alle uova in un pentolino con acqua e si porta a bollore. Poi si abbassa la fiamma, si copre e si lascia cuocere il tutto per tre ore almeno. Se uno ha pazienza più cuociono meglio è, anche tutta la notte. I gusci alla fine prenderanno un colore rosso o marrone a secondo di che cosa si utilizza. Le si serve ovviamente ancora con il loro guscio.


Un distinguo fondamentale è se le uova sono colorate solo fuori o se anche l'albume ha assunto una certa colorazione. La qual cosa, a detta di molti, è causa di interminabili dissidi attorno al desco familiare.

sabato 26 aprile 2008

sfide interculturali


Questa settimana di Pesach è stata davvero diversa da tutte le altre.
A parte che mi fa strano che il nostro piccolo cominci a dormire tutta la notte e ho sempre paura che si sia sentito male.
A parte che mi ha fatto assai strano fare la nostra spesa per Pesach non pensando di dover sfamare un reggimento al Polo nord, lontano migliaia di chilometri dal primo buco di negozio adatto alla festa, ma sapendo che se mi mancava qualcosa potevo scendere al supermercato vicino casa e trovare tutto quello che mi serviva perfettamente kasher le-Pesach.
A parte che mi fa molto strano che oggi sia il 25 aprile e ancora non ho sentito una banda suonare (stonare) "Bella ciao".
A parte che mi fa ancora più strano che Pesach duri 7 giorni e non 8 - scherzi giocati dai tanti anni passati nella diaspora: si dice che sia stato più duro fare uscire l'Egitto dagli ebrei che gli ebrei dall'Egitto...
A parte tutto ciò, stasera, ultima sera di Pesach, mi aspetta una ultima stranezza. La più strana di tutte. Abbiamo invitato a cena alcuni amici israeliani e americani e ovviamente mi hanno pregato in ginocchio di fare qualcosa di italiano. E fin qui, direte, dove è il problema? Forse cucinare per sei persone con un bimbo piccolo, ma in fondo basta organizzarsi un po'...
Il problema è che questi sono ashkenazim! Nu? direte.
Ok, partiamo dal primcipio. A Pesach non si mangiano cibi lievitati, giusto? Ma l'identificazione dl lievitante e del lievitato varia a secondo dei costumi. Alcuni ad esempio non mangiano farina in assoluto se non nelle matzot e nella farina di matzot (e non sanno che cosa si perdono). Passi anche che altri non mangino il riso, perché comunque è un cereale. Ma ora mi si spieghi perchè non si potrebbero mangiare i pinoli! Incomprensioni intra-culturali, si possono chiamare - credo.
E questo fanno gli ashkenaziti: non mangiano kitniot, dal riso alle mandorle, dai piselli ai pinoli. Come conciliare queste visioni in un solo piatto è cosa talmente rilevante che anche i rabbini ne hanno discusso, nel caso in cui ci sia una coppia "mista". Se la moglie è ashkenazita non si mangiano kitniot in assoluto, se la moglie è sefardita lei può comunque cucinarli e mangiarli. Ad ogni modo, al di là di mettere in luce ancora una volta chi comanda in casa, anche i rabbini non mi sono di aiuto per risolvere il mio problema per stasera. Non voglio certo passare delle ore in cucina e poi trovarmi degli ospiti che mi mangiano solo l'insalata.
Infatti preparare qualcosa di kasher italiano (italiano-sefardita nel mio caso) per degli ashkenaziti a Pesach è davvero un problema. Sto facendo i salti mortali.
Per gli antipasti riesco può ancora a cavarmela: huevos haminados, melanzane in aceto, e qualche insalatina all'israeliana per riempire.
Per il piatto forte ho fatto il tortino di azzime con ragù e verdure (ma levando i piselli) e ancora mi salvo.
Ma di dolce che gli faccio? Sto spasmodicamente cercando tra i libri di cucina e non trovo nulla a parte la pasta reale, visto che le meringhe non sono il mio forte. Uff. Mi sa che mi ridurrò ad una macedonia di frutta... Se a qualcuno viene una idea, mi scriva prima delle tre, per favore!
PS: per chi fosse curioso, appena ho un po' di tempo, passato "san spaghetto", scrivo le ricettine di cui sopra.

qualche suggerimento

Qualche suggerimento per gustarsi nel modo migliore le ultime matzot.

giovedì 3 aprile 2008


אני ואתה נשנה את העולם,

אני ואתה אז יבואו כבר כולם,

אמרו את זה קודם לפני,

לא משנה - אני ואתה נשנה את העולם


domenica 17 febbraio 2008

Yerushalaim - San Francisco


Un'altra sosta

Appoggiami la testa sulla spalla:
ch'io ti carezzi con un gesto lento,
come se la mia mano accompagnasse
una lunga invisibile gugliata.
Non sul tuo capo solo: su ogni fronte
che dolga di tormento e di stanchezza
scendono queste mie carezze cieche,
come foglie ingiallite d'autunno
in una pozza che riflette il cielo.

Antonia Pozzi, Milano 1929



Gustav Klimt, Die Hoffnung

martedì 8 gennaio 2008

sono sempre viva

Una rapida risposta a tutti quelli che guardando il blog si pongono delle domande.
SONO SEMPRE VIVA! Solo che il tempo è quello che è...