giovedì 14 dicembre 2006

Dicembre, tempo di regali


Ad andare in giro in città non ci si crede. Pacchi, pacchetti, pacchini, pacconi. La crisi evidentemente deve essere finita e la tredicesima (per chi ce l'ha) si avvicina. Insomma, è dicembre. Tempo di regali. E non c’è mica solo Natale. Domani sera comincia Channukkah e tutti i bimbi ebrei del mondo aspettano anche loro i loro bravi regali.

Girando per negozi e supermercati do sempre un occhio ai prodotti del mercato equo e solidale e devo dire che ha il suo buisness in questo periodo. Biscotti con il miele del Perù, Cioccolata del Guatemala. Meraviglioso. L’altro giorno mi è caduto l’occhio sulla lista dei paesi produttori e ne ho trovato uno che mi ha colpito, anche se – mi dicono – c’è da un bel po’: la Palestina. Cercando un po’ ho trovato che viene sostenuto un progetto del PARC per la produzione del couscous. Ora, io di couscous ne compro un bel po’. Niente da dire: ottimo il couscous. Solo che quello che ho trovato sul sito di Altro Mercato mi è rimasto un po’ sullo stomaco.

Per cominciare, io cercavo una descrizione del mitico couscous palestinese e mi sono ritrovata in una lezione di storia. Ma in fondo perchè non approfittarne, mi sono detta, e ho continuato. Vengo così informata della “dolorosa storia” di quella regione. È una storia interessante, solo –forse – un po’ lacunosa. In essa c'è posto per il muro e non per la seconda Intifada, mentre lo sgombero dei villaggi di Gaza è diventato una “decisione del governo isrealiano di spostare gli insediamenti dei coloni dalla Striscia di Gaza alla West Bank”. Mi dico: boh, avranno finito i posti in piedi nella West Bank. Molti mesi dopo lo sgombero c’erano intere famiglie israeliane di Gaza ancora a spasso con pochi shekalim in tasca e nessun lavoro. Ma vado avanti e finalmente giunge il momento del messaggio di equità e solidarietà. E con esso una incredibile rivelazione:

Il problema non è la religione, ma l’economia e la politica. In Palestina convivono cristiani, musulmani ed ebrei e lavorano insieme. [...] Il nostro progetto non ammette rassegnazione, non conosce confini né barriere, da Gaza a Jenin, da Hebron a Gerico”.

Ma chi diamine aveva mai pensato che il problema fosse la religione? E' chiaro che il problema è politico, no? Poi mi prende un dubbio. Ma stiamo parlando dello stesso posto? "Da Gaza a Jenin, da Hebron a Gerico"... Scusa, ma tra Gaza e Jenin ci stava mica lo Stato di Israele?

Mi sa che per questo anno, Altro Mercato farà a meno della mia equa solidarietà.

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